venerdì 23 giugno 2017

ALLA SCOPERTA DELLA BRETAGNA: ÎLE DE BATZ

Ciao Batz...

mi piace chiamarti per nome perché anche se abbiamo avuto poco tempo per “frequentarci”, tanto è bastato a farmi capire quanto sei speciale. In verità, che non eri un’isola come tante l’avevo capito da subito. Da quando ti ho visto sulla cartina geografica e ho notato subito la tua “piccolezza”. Dentro quei 3,05 km² di superficie dovevi per forza nascondere un’anima grande, la tua. Quella di chi si tiene stretto quel poco che ha e non accetta contaminazioni e interferenze. Batz é così, senza vie di mezzo, non fa niente per essere più bella se non mostrarsi esattamente per come è. O la si ama o la si odia. O detesti quella sua immobilità, chiusa in un silenzio spettrale rotto solo dagli schiamazzi dei gabbiani, o ti innamori perdutamente di quel modo tutto suo di “buttarti addosso” quel concentrato di natura che per quanto è bello fa male al cuore.
Quando passi da una spiaggia all’altra sfruttando il gioco delle maree, e ti ritrovi come per magia in altri mondi che al tramonto spariscono sommersi dalle acque. Come quando mi hai guidata in quella baia popolata solo da gabbiani; passeggiando a piedi nudi tra scogli, alghe e conchiglie e trasformando il dolore di quegli aculei in stupore di felicità quando mi hai accolta in quello spazio sconfinato di sabbia bianca, acqua cristallina che ti solletica i polpacci e l’oceano sempre attento che ti guada da lontano mentre nuoti in quella laguna incantata.

Grazie Batz, per tutte le emozioni che mi hai regalato in soli due giorni. Grazie per l’abbraccio forte del tuo sole e per le scottature che ancora me lo ricordano, grazie per il vento che ti accarezza il viso scompigliandoti i capelli al ritmo delle onde, grazie per quei lunghi silenzi pieni di rumori veri, di suoni autentici. Grazie per i panorami sulle scogliere, per le cadute, per i graffi sul ginocchio. Grazie per il tuo mare, per quello bianco e cristallino delle tue baie e per quello blu e irruento dell’oceano.


È durato poco, è vero. Ma è stato intenso quanto basta per non scordarti più!






















giovedì 14 gennaio 2016

UN ANNO DI TE E DI ME


Esattamente un anno fa sbarcavo nella Ville Lumiere. A farmi compagnia solo due valigie e uno zaino. E il cuore colmo di emozioni forti, di sogni e di aspettative. È passato un anno, eppure sembra ieri. Ho imparato a conoscere questa città dalla mille sfaccettature e soprattutto a farla mia. Forse perché, un po’ come me, Parigi riassume tutto e il contrario di tutto. Bella e dannata. Spaventosa e irresistibile. L’ho vista colpita al cuore, coperta di sangue e terrore in una notte che sembrava non finire più. L’ho vista rialzarsi con la dignità di chi crede ancora nel futuro e soprattutto nel presente. L’ho vista mostrare orgogliosa il proprio passato. Parigi non è solo una delle più belle capitali europee, ma è soprattutto un modo di essere. È imparare a guardare il mondo con gli occhi degli “altri”, è non aver paura del diverso, è riuscire a essere felici anche quando piove fuori e soprattutto dentro.

Non so quanto ancora durerà la mia avventura francese, ma spero ancora molto. In questo anno tante cose sono cambiate, io per prima ho imparato a mostrarmi esattamente per come sono: senza filtri, senza paura di essere giudicata e senza timore di far vedere i miei difetti e le mie fragilità. Qui ho rivisto le priorità dei miei sentimenti, trovando il giusto egoismo per considerarmi al centro del “mio” mondo e ricominciare a volermi bene. Parigi si è presa pazientemente cura delle mie ferite e come una mamma premurosa, mi ha dato la sicurezza necessaria per guardare il mondo a testa alta. Mi ha reso una persona migliore. Con me stessa e soprattutto con gli altri. Io e Parigi, legati da sempre da un cordone ombelicale immaginario che non si è mai spezzato.

Per uno strano scherzo del destino, oggi a farmi compagnia ci sarà ancora una valigia e un biglietto aereo che per qualche giorno mi porteranno lontano da Parigi. E già mi manca. Perché il cuore è ancora colmo di emozioni forti, di sogni e di aspettative. È passato un anno, eppure mi sembra di esserci da sempre.

giovedì 23 luglio 2015

14 LUGLIO...



Il tema dei fuochi di quest’anno era: Parigi accoglie il mondo. E, dopo esattamente sei mesi che vivo qui, posso confermarlo e sottoscriverlo. I Parigini (o Parisien come si chiamano qui) questa volta hanno dato un grande esempio e una grande lezione sul senso di appartenenza al proprio paese e alle proprie radici storiche. Mai in Italia mi era capitato di assistere a un evento (non religioso) che venisse sentito con simile trasporto dalla popolazione. Perché questa è la loro festa, quella di una nazione che si riappropria della sua identità storico-politica ed è orgogliosa di dimostrarlo. E quando sulla Tour appare il tricolore francese subito dopo la scritta con i fuochi d’artificio PARIS, le voci della gente diventano un grande unico coro che accompagna le note della Marsigliese. Ma la cosa più emozionante è stata essere lì e soprattutto sentirmi parte di loro. È vero, quello francese è un popolo per natura diffidente che guarda con sospetto a tutto ciò che è nuovo e si insinua nella loro tradizione. Ma dopo sei mesi ho imparato a conoscerli e come in tutti noi, ho scoperto anche in questo popolo dei pregi da apprezzare e applaudire. Prima tra tutti la loro capacità di fare un passo indietro e sapersi dare completamente quando capiscono che non sei più una minaccia. So che queste parole possono sembrare strane e non veritiere, ma la prima cosa che ho notato in questi mesi è quanto sia differente essere a Parigi di passaggio e viverci
quotidianamente. All’inizio le interminabili trafile burocratiche (primo tra tutti il conto in banca

rigorosamente francese!) sembrano delle inutili procedure pensate solo per farti perdere tempo. Perché aprire un conto francese, iscriversi alla Sicuritè Sociale, pagare le tasse francesi ecc ecc, se tanto tra un paio d’anni non sarò più qui? È la domanda che nasce spontanea appena inizi. Lo fanno per tutelarsi, giustamente. Ma più passa il tempo e più capisci che lo fanno anche per una ragione molto più nobile: per renderti giustizia e farti sentire pienamente parte di loro. Nel momento in cui arrivi a Parigi e lavori onestamente, il sistema francese si sente obbligato a garantirti gli stessi diritti dei cittadini francesi, almeno quelli che ti permettono di vivere dignitosamente senza doverti preoccupare di come arrivare a fine mese e fronteggiare le spese dei servizi quotidiani inclusa l’assistenza medica. Alla faccia della diffidenza, mi viene spontaneo commentare!
I francesi difendono soltanto la loro identità storica, perché essendo un popolo multietnico che
facilmente ingloba tradizioni e culture diverse, la vedono, realisticamente, minacciata e si sentono in dovere di proteggerla. Ma se gli dimostri di volerti integrare e avvicinarti alla loro cultura senza prenderne le distanze, come poi è giusto che sia quando si sceglie di essere “ospiti” in terra straniera, tirano fuori un grande cuore. Perché il diritto alla dignità prescinde qualsiasi differenza di etnia, religione e persino lingua. E in momento storico così particolare, dopo neanche un anno dall’attacco che li ha colpiti nel loro orgoglio più grande di francesi, la loro risposta è stata esemplare. Non solo continuare a condividere con tutti il loro giorno di festa, ma decidere di dedicarlo al mondo intero.
E quando l’altra sera la Tour per qualche minuto si è vestita d’Italia ho provato la grande emozione di poter essere italiana in terra francese senza sentirmi straniera e, da inguaribile romantica, ho voluto pensare che fosse il suo modo di darmi il benvenuto nella Ville Lumiere!








venerdì 20 marzo 2015

UN MESE, UNA SETTIMANA, UN GIORNO...



È strana la vita...a volte passi anni sentendoti un estraneo e poi basta un attimo per sentirsi a casa.

È trascorso un mese dal mio arrivo a Parigi, eppure mi sembra di esserci da sempre. Non so se è la magia di una città che ho sempre avuto nel cuore o la naturale sensazione di chi passa, da un luogo che gli è sempre andato stretto a un sogno che diventa realtà. Ma nel mio caso non è semplicemente l’entusiasmo dell’inizio e del nuovo. C’è qualcosa che va oltre, che già si chiama quotidianità e ha sapore di casa. È la senzazione di sentirsi al posto giusto, con le persone giuste, in un mondo che non è più fantasia, ma realtà. O forse è semplicemente la mia voglia di trovare cose belle, senza pensare a dovi ti trovi, con chi ti trovi e da quanto tempo stai lí. 

C’é una cosa che la vita mi ha insegnato: non aver paura della diversità e sapersi mescolare a essa. Parigi è una città multietnica, dove tradizione e innovazione passeggiano per mano proprio davanti ai tuoi occhi, senza mai perdere la loro identità. Per me è praticamente impossibile non sentirsi a casa in un posto cosí, che sa leggere nei tuoi pensieri, abbattendo ogni confine di razza, lingua, religione... 

E poi ci sono i desideri e i sogni che non hanno bisogno di parole o tradizioni, ma solo di sorrisi. E quelli non cambiano mai.

venerdì 13 febbraio 2015

BIGLIETTO DI SOLA ANDATA


L’attesa per un volo di sola andata è un’emozione impagabile, che ognuno di noi dovrebbe provare almeno una volta nella vita. È un concentrato di sensazioni estreme, difficile da raccontare con le parole. Un misto di gioia, paura, malinconia ed entusiasmo.

Quando ho avuto la conferma di essere stata presa a Parigi, ho iniziato subito a pianificare tutto, confidando nel mio alleato più grande: il tempo. Ho avuto la fortuna di trovare casa quando ancora ero in Italia e a spuntare pian piano tutte le voci della mia lista di cose “da fare”. All’inizio quel giorno sembrava lontano, poi man mano che si avvicinava, con lo stesso ritmo cresceva la paura. Quando decidi di lasciare il tuo paese e ricominciare da zero, la paura prima o poi arriva. Arriva perché, nonostante la consapevolezza di voler fare quel passo a tutti i costi, ti rendi conto che stai per lasciare ogni tua certezza, ogni tuo punto fermo. Ti ritrovi così tra valigie e scatoloni a renderti conto di ciò che davvero è indispensabile. Cosa portare, cosa lasciare…

Poi arriva il giorno della partenza e tutto è dimenticato, comprese le paure, perché tanto non c’è più tempo per tornare indietro. Ho deciso di partire da sola e sono felice di averlo fatto. Una scelta di vita così importante devi viverla fino in fondo per poterla poi raccontare. Perché prima di condividerla con gli altri, è innanzitutto la TUA scelta, la TUA esperienza, la TUA vita che cambia. E ritrovarsi seduta al gate dell’aeroporto, con la sola compagnia di un biglietto di sola andata, ti fa davvero sentire padrona della tua vita. In quei minuti un senso di onnipotenza si impossessa di te, perché in quell’attimo sei tu che, da sola, hai vinto contro il mondo intero. La paura si fonde con il coraggio mentre percorri un corridoio quasi in penombra che all’improvviso ti porta sull’aereo. E il momento del decollo segna metaforicamente lo spartiacque tra una vita che ti lasci alle spalle e una che ti viene incontro.

Fino a toccare terra e capire che quello che hai scelto non è l’ignoto, ma la libertà.






venerdì 6 febbraio 2015

QUANDO TUTTO EBBE INIZIO...


Era un caldo pomeriggio di agosto. Uno di quelli in cui avresti voluto essere a crogiolarti sulla spiaggia o a passeggiare per le strade in festa di una cittadina calabrese che mostra il suo volto più bello proprio in questo periodo dell’anno. E invece, stavo seduta a lavorare, davanti al pc sul tavolo della veranda di casa dei miei, alzando di tanto in tanto la testa per osservare il mare e spostando le mani dalla tastiera solo per accarezzare la mia gatta affamata di coccole. Il progetto che stavo scrivendo poteva rappresentare un passo importante per la mia carriera, ma non lo sentivo mio. Mi era stato appiccicato addosso senza che ne potessi discutere o metterci qualcosa che davvero rappresentasse il mio valore scientifico. Qualcosa di terribile stava accadendo: avevo smesso di credere nel lavoro a cui avevo dedicato gli ultimi dieci anni della mia vita.

Poi è arrivato all’improvviso quell’annuncio. Uno come tanti altri che mi capitava di leggere. Però, a differenza delle altre volte, qui tutti i tasselli sembravano coincidere perfettamente. Un argomento di mio interesse che mi aveva sempre appassionato, richiesta di competenze specifiche nel campo in cui mi ero formata e una città da favola. Tutto troppo perfetto per essere vero. L’ho riletto due volte, poi ho chiuso la pagina, convinta che tanto sarebbe stato solo uno dei tanti annunci. Mi serviva il colpo di testa di una notte di angoscia e paura, in cui vedevo per la prima volta il mio futuro in seria minaccia, per riaprire quella pagina e inviare il mio CV. Così, senza pensarci più di tanto. O forse perché in fondo c’era davvero poco su cui pensare per un posto che sembrava fatto su misura per me. Quando poi qualche settimana dopo ho ricevuto la risposta che erano interessati al mio CV e che volevamo avere un colloquio con me, qualcosa si è smosso. Si è smossa la paura per un desiderio che prendeva forma e per una scelta che avrebbe cambiato la mia vita. E si è smossa anche la consapevolezza di volere quel posto a ogni costo. Me lo sono continuato a ripetere in ogni singolo minuto di quella interminabile Skype interwiev di un’ora e venti. Sapevo che le possibilità di riuscita sarebbero state poche, che avevo competitori internazionali, sicuramente più capaci di me, pronti ad accaparrarsi quel posto. Ma se c’era anche soltanto una piccola possibilità di farcela, a quella dovevo aggrapparmi, con tutta me stessa. Senza il tempo di pensare a strategie, senza il bisogno di vendermi per ciò che non ero per sembrare più forte. Ma soltanto mettendo davanti l’unica vera arma che avevo: la passione per questo lavoro.

Sono di nuovo davanti al pc come quel pomeriggio di cinque mesi fa. Un cielo azzurro fa compagnia ai miei pensieri e ai miei sogni. Il cielo di Parigi.